Come è facile immaginare, l’acqua è un elemento fondamentale per la progettazione e la manutenzione di un campo da golf.
Tutta quell’erba, gli alberi, i rovi, i torrenti, i laghi, sono pieni di acqua. E da qualche parte deve pur venire; per questo i britannici – che sono più furbi di noi – si sono insediati in un posto pieno di sabbia e dove piove tutto l’anno.
Così come noi da ragazzini ci accontentavamo di due ciabatte per fare le porte, loro scavano una buchetta di 12 cm ed ecco fatto il campo da golf. E ti fanno pure pagare per giocarci.
Noi invece ci siamo andati a sistemare nel Bel Paese, basta che ce sta ‘o sole e basta che ce sta ‘o mare, ma poi per irrigare 100 ettari di prato all’inglese sono dolori.
Spesso i proprietari dei campi da golf chiamano esperti ingegneri che costruiscono metropolitane nelle città più importanti del mondo, per scavare tunnel lunghissimi che vadano a svuotare le falde acquifere dei latifondi vicini, pur di trovare abbastanza acqua per irrigare.
Questa pratica si è recentemente interrotta, non per via di legislazioni o contenziosi tra le parti, ma per la simpatica abitudine dei contadini di praticare con i loro forconi dei buchi sulle natiche dei segretari dei circoli.
L’acqua quindi serve per nutrire, insieme alle sostanze contenute nel terreno, l’erba che ricopre gran parte del campo. Una giusta proporzione di acqua consente anche di mantenere il terreno al giusto livello di elasticità e solidità, rendendo il gioco del golf piacevole e armonioso.
Purtroppo, come descritto in maniera superba dal Dr. Asimov nel suo studio “Le proprietà endocroniche della tiotimolina risublimata”, anche l’acqua può avere in alcune circostanze la fastidiosa caratteristica di spostarsi avanti e indietro nel tempo.
Ed ecco che in una splendida giornata di sole, una leggera brezza alle spalle, nessuna nuvola all’orizzonte, umidità ottimale, il vostro drive riesce incredibilmente a imprimere alla pallina il raro effetto denominato “draw”, e la curva che la pallina fa in cielo vi emoziona a tal punto che improvvisamente provate un afflato di amore e fratellanza per tutto il genere umano, incluso il vostro compagno di gioco che ha pensato bene di soffiarsi il naso proprio mentre stavate per tirare.
La traiettoria fa un arco perfetto verso il centro del fairway, e quando state già pregustando un centinaio di metri di rotolo, la pallina scompare improvvisamente alla vostra vista.
Vi girate con gli occhi spalancati verso i vostri compagni di gioco, ma nessuno ha visto nulla.
Quando andate a cercare la pallina, ammesso che la troviate, vi accorgerete che improvvisamente, come per magia, il centro del fairway è diventato un pantano pieno d’acqua che prima non c’era, e la pallina si è piantata proprio in mezzo, scavando una buca di un metro nella terra improvvisamente molle come il burro, e rovinando irrimediabilmente un drive perfetto.
Viceversa, vi capiteranno giornate piovose, umide, bagnate, in cui la Scozia vi apparirà come una meta esotica.
In questi giorni, in cui il rough sembra la foresta amazzonica, e i poveri cipressi degli immensi baobab, l’unica strategia possibile è quella di piazzare la palla in fairway, possibilmente bassa, per evitare disastri peggiori.
Ed è con un po’ di rammarico che prendete dalla sacca il legno 3, che nessun uomo degno di questo nome userebbe mai invece del legno 1, o drive, simbolo fallico per eccellenza, e vi rassegnate ad un mezzo colpettino, che nelle vostre intenzioni vi faccia percorrere quei miseri 150 metri, ma almeno vi lasci la possibilità di giocare il secondo colpo in tutta tranquillità.
Come per magia, la vostra tattica risulta vincente, il colpo parte preciso, basso quanto basta, e vola verso la rugiada che cosparge la superficie del fairway, e quando voi, nella posa plastica che solo il golfista smaliziato sa assumere, con lo sguardo fisso nel vuoto e le braccia accartocciate intorno al corpo, vi preparate a riprendere il tee con noncuranza, la pallina improvvisamente fa un balzo verso l’alto e verso destra di almeno 20 metri, e scompare nella savana.
Quando arrivate sul luogo del misfatto, scoprite che in mezzo ad un fairway morbido, umido, fresco, c’è un’area completamente secca, arida, con la terra spaccata a zolle che neanche il deserto del Sahara, ed è proprio lì che la vostra pallina è caduta, rimbalzando e scomparendo per sempre.
L’acqua di quella sezione del fairway ha deciso evidentemente di intraprendere un viaggio nel tempo; è l’unica spiegazione possibile alla domanda “perché proprio a me? e perché proprio qua dovevo mandarla?”.
Forse quell’acqua è la stessa che ha allagato il fairway del golfista di cui sopra, chi può dirlo?
Fatto sta che giocherete una seconda pallina, probabilmente spedendola direttamente nel bosco, tanto per non perdere tempo inutile.
L’acqua ha anche delle proprietà chimiche particolari. E’ in grado di cambiare la sua densità a seconda degli oggetti che si trovano nelle sue vicinanze.
Ad esempio, ogni qualvolta una pallina da golf compie un arco sopra uno specchio d’acqua, questo assume istantaneamente la densità dell’osmio, attirando la pallina con una forza di gravità simile a quella che potreste ritrovare su Giove.
Questo spiega la famosa curva “a pinna di pescecane”, in cui la pallina prima fa un arco perfetto, poi si precipita a capofitto in quel simpatico liquido blu.
Tra l’altro oggigiorno le palline da golf sono costruite con un materiale sintetico, detto poliuretano, che oltre a proteggerle da graffi mantenendole al contempo molto morbide, le rende impermeabili alle urla dei golfisti, che tentano inutilmente di spingerle oltre lo specchio d’acqua con urla belluine, preghiere e imprecazioni a divinità le più variegate.
Infine, l’acqua talvolta si raccoglie in flussi chiamati “torrenti”, “rigagnoli”, o “fiumi”. Indipendentemente dalle loro dimensioni e caratteristiche, questi corsi d’acqua hanno tutti alcune caratteristiche comuni: si trovano incredibilmente vicini al posto in cui volevate mandare la pallina; hanno sponde ripide che secondo la legge di Murphy fanno cadere la pallina lontana dall’erba e verso l’acqua; ma soprattutto sono molto ma molto bassi.
Questa loro bassezza, fisica e morale, fa sì che nel 99% dei casi la pallina finisca appoggiata ad una roccia, o mollemente adagiata sulla sabbia umida, coperta magari solo per il 50% della sua superficie.
Qui avviene un fatto strano: la combinazione acqua bassa + pallina spegne improvvisamente tutte le sinapsi del golfista, il quale si precipita con un ferro 7 verso la sua pallina al grido di “ce la posso fare! è ancora giocabile!”.
Tutto ciò è ovviamente falso, e il risultato finale dell’operazione consiste in alcuni colpi in più sullo score, i piedi completamente bagnati, e il completino da fighetto che vi aveva regalato vostra moglie irrimediabilmente rovinato da fango e chissà cos’altro.
E come sapete bene, era l’ultimo paio disponibile in tutte l’universo di quegli splendidi, costosissimi pantaloni…
Rodolfo Cardarelli